Report – Una settimana in Sicilia sul Sentiero Italia
(bagni, docce e la macchina del fango)
È notte fonda, alle 03:40, quando il gruppo si raduna al solito posteggio a Suna. Alcuni non son nemmeno andati a dormire e sono lì già prima, gli altri arrivano man mano. Anna, Massimo e Paola tardano qualche minuto, che devono cambiare una gomma, ma poi si parte e in breve siamo al posteggio alla Malpensa. Le navette fanno qualche pasticcio e finisce che si fa tardi al check-in, per imbarcare alcune borse in stiva. Incredibilmente questi trolley, pur carichi di oggetti vietati, passeranno la security e (ancora più incredibile) saliranno in cabina senza sovrapprezzi da parte di Ryan Air.
Giunti a Palermo scendiamo in due strutture vicine al porto turistico; lasciamo i bagagli nella hall e incontriamo Giuseppe, palermitano del CAI Cefalù, che ci guiderà per una visita della Palermo “insolita”: le vestigia degli insediamenti preistorici e romani vicino al porto, poi oratori barocchi, mercati, giardini pubblici, statue e altri monumenti disseminati per la città, sino a finire al monastero di Santa Caterina, di cui visiteremo i chiostri e le cappelle, per poi salire sulle terrazze panoramiche.
A fine visita assaggeremo i cannoli del laboratorio monacale, gestito dalla moglie di Giuseppe.
Il giorno seguente la mattina è libera: chi sale a Monreale, chi visita villa Florio, chi va a camminare, chi per musei. Tutti però passano dai famosi mercati della Vucciria e di Ballarò, per gustare le specialità locali. Dopo pranzo si parte con le navette alla volta di Trapani. Il programma è di salpare la sera stessa per Marettimo, ma un fortunale si è abbattuto sulla Sicilia occidentale: il mare è troppo mosso per navigare e dovremo partire il giorno dopo. Al riparo dalle piogge monsoniche sotto la pensilina del porto, i nostri trip leader mettono a terra il piano B: un taxi si presenta al porto e ci recapita i bagagli in un albergo poco distante; il gruppo, in ciabatte e mantelline, sfida intemperie e strade allagate per raggiungere l’hotel. Prese le stanze e messi i panni ad asciugare scendiamo a mangiare una pizza (nel frattempo la pioggia è finita). Un giro per la bella Trapani e una degustazione di Marsala prima di coricarsi, che il giorno dopo si parte per Marettimo, l’isola più selvaggia delle Egadi. È la più lontana dalla terraferma, interamente montuosa e ricoperta da una vegetazione sorprendentemente rigogliosa; c’è un solo piccolo villaggio, quasi nessuna strada carrozzabile,
Allo sbarco ci accolgono due pescatrici, che ci smistano nelle varie strutture dell’unico villaggio dell’isola. Pochi minuti e ci si ritrova per la prima camminata: subito una rampa lungo una mulattiera, poi sosta alle Case Romane; da qui per bei sentieri fino alla vetta (686 m) di Pizzo Falcone, ove consumeremo un pasto frugale, ammirando il panorama dell’isola. Al ritorno, per un ripido sentiero in discesa, raggiungiamo Punta di Troia, grazioso promontorio sormontato da un castello. Chiuso, ma poco importa: a noi interessa la caletta per fare un bagno. Dopo la nuotata si chiude l’anello rientrando al villaggio per il sentiero basso lungo la costa.
Dopo breve sosta nelle camere, un memorabile aperitivo, con vini sublimi e assaggi di specialità locali, consumato nel dehors del localino centrale del paese, è seguito da una cena in un ristorante sorprendentemente affollato.
Ancora una volta si va a dormire abbastanza presto, che il giorno seguente la nave salperà alle 6:20: faremo tappa a Levanzo: giro ad anello per l’isola, visita alla Grotta del Genovese, con mirabili pitture rupestri ed incisioni (le une neolitiche, le altre paleolitiche, o viceversa). Al ritorno attraverseremo le fertili pianure dell’altipiano di Levanzo, per tornare al villaggio dall’alto. Bagnetto al mare (breve causa meduse) poi, dopo pranzo, si collassa brevemente sui muretti fino al momento di imbarcarsi sulla nave per Trapani, ove lasceremo i trolley, rimanendo con i soli zaini per tre giorni di “self support”.
Allo sbarco parte la marcia forzata per Erice: si percorre per intero la città di Trapani, fino a incontrare una trazzera (anticamente strada romana!?) ripida e assai dissestata, che sale verso Erice. Per gran parte della salita i camminatori soffrono l’afa, ma giunti in prossimità di Erice, il clima cambia: l’aria è subito frizzante, quasi fredda. Senza perdersi in giri turistici, il gruppo si dirige subito alla capanna CAI, ove alloggeremo la notte. Per la cena ci raggiunge Vincenzo Fazio, il presidente del CAI locale, che ci porta in un delizioso ristorante ove mangeremo bene, bevendo anche meglio: i vini sono quelli della cantina Fazio. Prima di andare a mangiare, visitiamo la zona del Balio, che al tramonto, coi suoi giardini, le mura merlate ed i castelli, regala spettacolari vedute.
Di buon mattino lasciamo la capanna e dopo colazione cominciamo la tappa di maggiore sviluppo chilometrico: per sentieri scendiamo rapidamente fino al mare, ove ci attende una decina di chilometri di lungomare non particolarmente pregevole; al termine di questo tratto siamo a Cornino, visitiamo l’antico villaggio contadino della “Grotta Mangiapane” prima di salire verso il passo del monte Cofano. Fabio, che fin dal mattino non si sentiva troppo bene, accusa forti malori (pare abbia preso freddo la sera prima). Per fortuna Roberta, la moglie di Vincenzo, passa da quelle parti, raccoglie Fabio, con Anna che gentilmente gli farà da crocerossina. Lasciati Fabio e Anna, il gruppo riparte percorrendo in discesa il monte Cofano e il litorale, bello e selvaggio, di Cala Calazza.
Ritroveremo Anna e Roberta alla spiaggia di Màcari, a fine percorso. Hanno appena finito di fare una nuotata; parte dei camminatori dà loro il cambio e si tuffa in mare sotto una pioggia oramai scrosciante. Ma poco importa: il punto tappa è vicinissimo e lo raggiungiamo ancora in tenuta da bagno. Salutiamo e ringraziamo Roberta, che torna a casa, e ritroviamo Fabio, visibilmente rinfrancato.
Il giorno seguente la partenza viene ritardata causa pioggia. Inganniamo l’attesa con tornei di briscola chiamata, fino a che il buon logista, incrociando i dati di vari radar e almeno tre app meteo, intravvede schiarite e dà il via alla comitiva. Va da sé che dopo pochi minuti di cammino torna la pioggia, scrosciante “sui nostri volti silvani e sui nostri vestimenti leggieri”. E allora scopriamo che l’argentea pioggia produce un fenomeno mirabile, che ci accompagnerà per tutto il viaggio: combinata con l’acqua, la terra argillosa di Sicilia si tramuta in un fango colloso e tenace, capace di formare strati compatti sotto le suole, talmente spessi da compromettere l’equilibrio. Inutile affannarsi: dopo cento passi lo zoccolo di fango si stacca da solo, per poi riformarsi velocemente. Giunti al Passo del Lupo, carichi di fango e di gloria, troviamo rifugio in una baracca, ove ci accoglie una squadra di operai forestali che, bloccati dal maltempo, vi si erano riparati e si accingevano a prepararsi un caffè. Con loro ci consultiamo sui sentieri da prendere per scendere alla riserva dello Zingaro e chiacchieriamo per far passare il tempo. Quando la pioggia cala leggermente, ringraziamo per l’ospitalità e salutiamo i forestali riprendendo il cammino che, per alpeggi e sentieri a picco sul mare, ci condurrà a Scopello. Qui alloggiamo in un grosso albergo con piscina, che però alcuni di noi disdegnano, preferendo dirigersi alla famosa “tonnara” per un bagno in mare. Rifiutando, per ragioni etiche, di pagare un odioso balzello per accedere alla spiaggia della tonnara, imbocchiamo un incerto sentiero laterale (manco a dirlo fangosissimo) che, ravanando un poco, ci conduce a mare. Ci tuffiamo e nuotiamo lungo la scogliera, fino a giungere di fronte alla famosa tonnara. La struttura della tonnara dal mare non è un gran che (pare siano incantevoli i cortili interni) ma le scogliere e i faraglioni sono uno spettacolo. Non volendo rovinare il ricordo della bella nuotata imbrattandosi di fango sul sentiero, i nuotatori, guidati da Rocco, sperimentano nuove vie e raggiungono la strada per un percorso ad ostacoli tra staccionate, cancelli e reticolati di filo spinato.
Il mattino seguente le navette caricano il gruppo per portarlo a Dammusi (abbiamo infatti saltato due tappe del S.I). Il gruppo, appunto; ma da chi è composto? In ordine sparso: Fabio, il prezioso conducator, che per mesi ha lavorato alla complessa organizzazione della settimana; Bizzo, grande esperto di trekking di più giorni, delegato alla topografia e autore della preziosa “lista” dei bagagli, provvidenziale per più sprovveduti. Poi Antonella 1 e 2, Graziella, Anna la “presidentessa”, Bob, Mauro, che durante le lunghe ore di cammino chiudeva contratti al telefono, elevando il concetto di telelavoro a vette sublimi. Poi Fausto, poi Stefano, Dellamora come Fabio, di comuni origini Cannobine (il parente ritrovato). Massimo, Paola, Giuseppe, Aldo, Rocco e infine Paolo, che durante il viaggio ha retto cordoni della borsa, riscuotendo dai gitanti, come il pubblicano evangelico, il periodico tributo alla cassa comune. Alcuni sono veterani dei trekking di più giorni, altri sono neofiti, o quasi, ma comunque non vi sono stati problemi, né per lo svolgimento delle tappe a piedi, né dal punto di vista della convivenza; anzi: si è subito creato un clima gradevole per tutti.
Dal posteggio di un agriturismo cominciamo a camminare. In questa tappa il sentiero si presenta tutt’altro che agevole: la vegetazione (composta in buona parte da arbusti spinosi) lo copre quasi completamente e mentre tentiamo di passare, ci allaccia i malleoli e ci intrica i ginocchi. Le chiudende (cancelli lungo le recinzioni) spesso sono assenti o bloccate, costringendoci a balzare come arditi sopra matasse di filo spinato. Giungiamo alla sosta di mezzogiorno con le gambe grattugiate. Qui ci dividiamo il pane cunzato acquistato la mattina a Scopello dalla simpatica signora del panificio, presso il quale la sera prima avevamo gustato le arancine.
Dopo il pasto frugale si riparte; il paesaggio diventa più dolce rispetto alle asprezze del primo tratto. Breve visita alla Grotta del Garrone, appena sotto il passo di Monte Pizzuta, poi arriva la pioggia, che ci farà compagnia fino al termine della tappa, a Piana degli Albanesi. In questo paese, di antica tradizione balcanica, i sedici viandanti giungono, as usual, sferzati da pioggia battente, trovando provvidenziale rifugio in un bar con ampia sala ove stenderemo mantelle ed altri indumenti molli di pioggia. L’efficientissimo barista, che ci serve cannoli, caffè, tisane e liquori speciali, conosce Verbania ove spesso si reca presso una nota gastronomia (il mondo è piccolo!).
Finita la camminata, finisce anche la pioggia; terminata la merenda, attraversiamo il grazioso paese di Piana degli Albanesi per giungere all’appuntamento con il torpedone che raccoglierà noi e i bagagli per andare a Scillato. Ovunque, lungo il Corso, si vedono effigi con l’aquila bicipite su sfondo rosso e insegne di associazioni italo-albanesi. I cartelli stradali sono bilingue e le genti del luogo parlano un dialetto molto simile, dicono, all’albanese.
Il viaggio in pullman verso Scillato parte subito sotto cattivi auspici: pare sia caduta una frana nell’ultimo tratto prima della struttura che ci ospiterà. Saremo dunque costretti ad allungare il viaggio di un’ora e mezza per aggirare il tratto di strada chiuso al traffico. Giunti in contrada Firrione, ci accoglie un’antica Masseria, splendidamente ristrutturata. Siamo in bassa stagione ed è quasi tutta per noi.
Il giorno seguente alcuni esponenti del CAI Polizzi si presentano alla masseria con varie auto, per portarci all’attacco della tappa, che sarà non certo la più lunga, ma quella con maggiore dislivello. Curiosamente, giunti alla famigerata frana, ci accorgiamo che in realtà le auto riescono a passare abbastanza agevolmente e quindi in un attimo siamo sul sentiero.
Si parte per una mulattiera ripida accompagnati dagli amici di Polizzi, che lungo il cammino ci indicano le erbe selvatiche che sono soliti raccogliere su quei monti: il finocchio selvatico per le tisane, il cardo selvatico che va mondato dalle molte spine e bollito, ed altre ancora. Lungo il cammino ci raccontano della “festa della neve”: a fine luglio aprono delle fosse riempite di neve durante l’inverno precedente; con la neve rimasta preparano granita per tutti i partecipanti, che accorrono numerosi da tutte le contrade e pure da molto lontano. Appuntamento da segnare per il futuro!
Si continua a salire, ora lungo un bel sentiero che attraversa un’estesa faggeta. Si cominciano a vedere qua e là resti di daini, molto numerosi su queste montagne. Giunti al limitare del bosco, sbuchiamo su un pianoro, circondato da cime brulle e pietrose. Lì c’è una sorgente di acqua freschissima e nei dintorni vediamo i primi maestosi daini. Gli amici di Polizzi ci offrono una veloce merenda e, prima di prendere commiato per tornare a valle, si lanciano con genuino entusiasmo a raccogliere funghi, quasi in gara tra loro. Trovano alcuni ferè e poi diversi esemplari di un fungo con cappella piuttosto piatta, lamellato, che chiamano “petiritto” se ben ricordo.
Rimasti soli ci attende la seconda metà della tappa, sostanzialmente in piano. Il comodo sentiero ci conduce per altre faggete, praterie, pinete e radure contornate di cedri. Poi, sotto una pioggerellina tonificante, si comincia a scendere verso Piano Battaglia, una graziosa stazione sciistica in cui ci accoglie la grande struttura del CAI Palermo. Qualche disguido sulle prenotazioni ci costringe ad una sistemazione un po’ spartana ma comunque molto confortevole. La consueta merenda/aperitivo trascorre in compagnia di altri esponenti del CAI siciliano che vengono a trovarci, in particolare Mario Vaccarella, che ci accompagnerà l’indomani per parte dell’ultima tappa.
Il mattino seguente, oltre a Mario Vaccarella, ci sono membri del CAI di Petralia Sottana, che ci accompagneranno per tutta la tappa, fino, appunto, a Petralia. La tappa Piano Battaglia -Petralia Sottana si snoda su terreno vario: boschi, vallette, facili guadi e radure. Lungo il cammino incontriamo alcuni alberi secolari, ben segnalati da cartelloni e diorami. La sosta merenda si svolge presso un rifugino del CAI Petralia, aperto per l’occasione. Qui ci viene offerto un veloce spuntino, innaffiato da bevande liquorose. Salutiamo Mario, che deve rientrare e proseguiamo verso Petralia. Filippa, dotata di reflex con teleobiettivo, documenta la bella gita; nel frattempo, oltre a vigilare sulla compattezza del gruppo e spronare i ritardatari, ci racconta le bellezze e le peculiarità del suo territorio.
Quando il sentiero comincia a discendere, cominciamo a scorgere in lontananza il paese di Petralia; in primo piano si staglia la maestosa sagoma del “nuovo ospedale”, ben visibile dalle alture circostanti. Prima di entrare in paese attraversiamo un grazioso ponte in pietra che traversa il torrente; costeggiamo l’imponente nosocomio, per giungere, dopo una breve rampa, alla chiesa di Petralia e intercettare il corso principale che, serpeggiando tra le antiche case del borgo madonita, ci porta alla sede del CAI locale. Là termineranno le nostre fatiche podistiche. La sede del CAI ci consente di rinfrescarci e indossare abiti eleganti per presentarci, dopo un veloce sputino, all’appuntamento con le navette che ci porteranno a Petralia Soprana. Filippa ci accompagnerà in questo giro turistico al paese “rivale”, ma prima di salire a Soprana ci mostra una piccola meraviglia: la “casa du currivu”: una graziosa abitazione dalle proporzioni sorprendenti, mirabilmente inserita tra le vecchie case dell’antico borgo. A Soprana ammireremo il vasto panorama che si gode dalla piazza principale, alcuni stoici assaggeranno i dolci locali, passeggeremo pigramente per i vicoli e le eleganti piazzette, prima di adunarci sotto il monumento ai caduti e risalire, per l’ultimo viaggio, sui furgoni. Riaccompagniamo “Pippa” a Sottana, ringraziandola ancora per la generosa ospitalità e ci mettiamo in viaggio. Da Petralia a Punta Raisi è un lungo viaggio, reso ancora più lungo dal gran traffico. Ma noi non ci preoccupiamo, il volo è già in ritardo di un’ora e quindi non abbiamo fretta.
In volo collassiamo tutti in un sonno profondo, che verrà interrotto solo dalla gran frenata all’atterraggio. Ritiro bagagli, navetta, casa: da domattina si trona alla vita di tutti i giorni. Ma ci resterà nel cuore il ricordo di questa bella gita. Per molti di noi camminare una settimana intera è stata un’esperienza nuova, che lascia spazio per pensare, ma anche per fare conversazione. Abbiamo visto posti sorprendenti, incontrato persone piacevoli, mangiato e bevuto divinamente, sempre coccolati dall’impeccabile logistica degli organizzatori, cui va il ringraziamento, credo unanime, di tutti i partecipanti.